Ischia e le sue chiese
Numerose sono le chiese presenti sull’isola d’Ischia e tutte interessanti da visitare per i turisti; qui di seguito ne elenchiamo le principali.
LA CATTEDRALE – Ischia Ponte
La chiesa di Ischia o «Insulana», nel corso della sua storia quasi millenaria, ha avuto, forse, addirittura quattro cattedrali. La prima, sicuramente, era ubicata nel villaggio medioevale che si estendeva su parte dell’area oggi chiamata «Arso» e fu distrutta dalla colata lavica della eruzione di Fiaiano nel 1301 o 1302; la seconda, forse, per un certo periodo, fu costituita dall’attuale cripta della cattedrale del castello sulla quale nel corso del secolo XIV fu costruita la terza cattedrale dedicata all’Assunta; la quarta è quella attuale.
Nel corso dello scontro tra le armate francesi e anglo-borboniche avvenuto nel canale di Ischia nel giugno 1809, tentativo di riconquista del regno di Napoli tentato da Ferdinando IV di Borbone, la cattedrale del castello fu colpita da alcune bombe che ne provocarono lo sconquasso e la successiva profanazione del luogo sacro nonché la devastazione da parte dei ladri e dei soldati.
Il Capitolo subito dopo questo disastro, chiese ospitalità agli Agostiniani per poter celebrare nella loro chiesa di Santa Maria della Scala l’ufficiatura corale. La convivenza però durò solo qualche mese a causa della soppressione delle Corporazioni Religiose sopravvenuta nell’agosto 1809 con il successivo allontanamento degli Agostiniani e l’incameramento di tutti i loro beni da parte dello stato. Così venne a crearsi una situazione nuova. I Canonici e il Vicario Capitolare Giosuè Mazzella, che reggeva la diocesi, la quale era priva del vescovo fin dal dicembre 1799 e lo resterà fino al 1818, avendo constatato amaramente che non era più possibile rimettere in sesto la cattedrale sul castello, avanzarono supplica al Re perché concedesse loro l’ex chiesa degli Agostiniani per trasformarla in nuova cattedrale. Essi sottolinearono che la diocesi d’Ischia era di regio patronato e quindi era dovere del Re provvedere sia la diocesi che il Capitolo di una cattedrale adeguata alle esigenze delle celebrazioni corali nonché vescovili. Così Gioacchino Napoleone, re delle Due Sicilie, con decreto datato da Parigi 17 gennaio 1810, concedeva al Capitolo d’Ischia la chiesa di S. Maria della Scala «con tutti gli arredi sacri, utensili, e suppellettili, che nella chiesa medesima vi sono per stabilirci la chiesa cattedrale». I Canonici, quindi, da ospiti della chiesa di S. Maria della Scala si trovarono ad essere i proprietari della chiesa e subito intrapresero, sebbene tra gravi difficoltà economiche, l’indispensabile adattamento della struttura alla nuova funzione che doveva svolgere. L’opera di abbellimento, restauro e adattamento della chiesa alla nuova funzione che il capitolo dovette subito intraprendere, fu continuata ad opera dei vescovi, a partire da Giuseppe d’Amante (1818-43) che, dopo quasi diciannove anni di vacanza della diocesi, venne a riannodare i fili della successione dei vescovi «Insulani» , e poi di tutti gli altri che si sono succeduti fino ad oggi.
La monumentale chiesa che noi oggi vediamo, è la terza che gli Agostiniani di S. Maria della Scala hanno realizzato nel corso della lunga storia del loro convento, fondato nella seconda metà del secolo XIII. Molti furono i loro benefattori per cui il convento venne a trovarsi beneficiario di un vastissimo patrimonio immobiliare che procurava una grandissima rendita annuale. La chiesa medioevale fu ricostruita nel primo decennio del secolo XVII ma, per motivi vari, soprattutto a causa della vicinanza con il mare e il fenomeno del bradisismo qui molto accentuato, fu necessario ricostruirla ancora una volta nel quarto decennio del secolo XVIII. Il progetto e la direzione dei lavori venne affidata ad Antonio Martinetti, o Massinetti. L’opera era ormai completa l’11 luglio 1752 quando l’ingegnere firmò la perizia finale tecnica e finanziaria dei lavori effettuati. La decorazione a stucco fu realizzata negli stessi anni da Cesare Starace che, da solo o con il fratello Francesco, ha creato altri capolavori di decorazione in parecchie chiese dell’isola d’Ischia. Le grandi pale del transetto e dell’abside, insieme con altre tele sistemate nelle cappelle laterali, sono opere di Giacinto Diano realizzate negli anni 1759 e 1760, mentre il S. Giuseppe sul secondo altare della navata di sinistra è opera del pittore Alfonso di Spigna ( Lacco 1697-1785). Delle poche cose salvate dall’antica cattedrale o da altre chiese del castello e qui conservate, bisogna ricordare il Crocifisso ligneo dei secoli XIII-XV, restaurato di recente, proveniente dalla cappella del SS.mo Sacramento dell’antica cattedrale, di patronato della città d’Ischia, nella quale vi era anche una confraternita dallo stesso titolo. La venerata icona della Madonna della Libera, dipinta su tavola e portata qui dall’omonima chiesa del castello, profanata nel 1809 ma ancora esistente, è stata solennemente incoronata dal vescovo Ernesto de Laurentiis ( 1929-1956 ) il 7 settembre 1930. I marmi che costituiscono il battistero, nel quale è stato battezzato il 15 agosto 1654 Carlo Gaetano Calosirto, futuro S. Giovan Giuseppe della Croce, provengono in parte dal grandioso e scenografico mausoleo di Giovanni Cossa che si trovava sulla porta d’ingresso dell’antica cattedrale, smembrato già nel corso del secolo XVIII per far posto all’organo. Nel corso delle razzie effettuate nel 1809 dopo il bombardamento della cattedrale, ci fu una ulteriore dispersione dei marmi di questo e di altri monumenti medioevali che in essa si trovavano. I pochi avanzi sono conservati oggi nel Museo Diocesano ubicato nel palazzo del Seminario. Il coro ligneo dei canonici fu realizzato subito dopo la concessione da parte del re della chiesa per far fronte alle esigenze della liturgia corale. L’altare maggiore e la balaustra sono opera di un ignoto marmoraro napoletano fatti eseguire dal vescovo Felice Amato nel 1757, mentre quelli delle navate laterali furono realizzati dal vescovo D’Amante (1818-1843). La cappella del SS.mo Sacramento con il trono per la venerata icona della Madonna della Libera, che è stata portata qui dalla sua chiesa esistente sul castello dopo la profanazione avvenuta nel 1809 insieme con il pavimento marmoreo e la zoccolatura di tutta la chiesa, è stata realizzata durante l’episcopato di Mario Palladino (1901-1913). La chiesa fu solennemente dedicata l’8 luglio 1860 dal vescovo Felice Romano che, oltre al titolo dell’ Assunta alla quale era dedicata anche l’antica cattedrale, aggiunse quello dei santi patroni Restituta d’Africa e Giovan Giuseppe della Croce, francescano alcantarino, nato a Ischia, nel borgo di Celsa, a pochi passi dall’odierna cattedrale. Oggi la casa in cui venne alla luce è un oratorio pubblico di proprietà del Capitolo della cattedrale.
PARROCCHIA S. MARIA ASSUNTA – Ischia Ponte
La chiesa Collegiata dello Spirito Santo, è stata costruita tra il 1636 ed il 1676. Originariamente, sul posto ove oggi sorge il sacro edificio, si trovava una cappella dedicata a Santa Sofia di proprietà della famiglia Cossa. Essa, intorno al 1570, fu adattata a luogo di culto dei marinai del borgo di Celsa, mentre il titolo parrocchiale dalla chiesa di San Vito a Campagnano, vi fu trasferito, per decisione del vescovo Fabio Polverino, nel 1580. Inoltre tutti i fedeli si tassarono, dedicando una parte dei guadagni prodotti dalle loro attività ad un programma di assistenza materiale e spirituale. A tale scopo, nel 1613, di fianco alla congrega, fu edificato un piccolo ospedale, che funzionò per alcuni decenni. Nel 1672 i lavori di ampliamento terminarono e la chiesa fu aperta al culto di tutti gli abitanti del quartiere. Nel 1851 il pontefice Pio IX la elevò al titolo di Collegiata con un capitolo di canonici.
La Collegiata dello Spirito Santo è sede della venerazione di San Giovanni Giuseppe della Croce, un francescano alcantarino (Ischia 1654- Napoli 1734), le cui spoglie sono da poco ritornate nell’isola natia dopo una lunga permanenza a Napoli, dove morì, con grande giubilo della popolazione legata ad un culto molto sentito al Santo, una figura di spicco nella storia religiosa napoletana del Settecento. La chiesa ha pianta basilicale a croce latina, con navata unica e tre cappelle per lato. Una breve scalinata conduce all’ingresso. La facciata, dalle linee molto semplici, è decorata soltanto in alto da una finestra trilobata sopra il portale. Sul lato destro vi è la torre campanaria, di forma piramidale, sormontata da una cupoletta a pera, rivestita da mattonelle smaltate gialle e verdi. All’incrocio della navata con il transetto è presente una bassa cupola, che all’estradosso porta un tetto spiovente poggiato sui muri perimetrali. L’interno è particolarmente ricco di opere d’arte, tra cui un affresco, conservato in sacrestia, raffigurante il Castello, del XVI secolo ed un baldacchino d’argento del XVIII secolo. Entrando, a sinistra, ci accoglie un originale fonte battesimale ottocentesco, mentre sulla controfacciata vi è una tela del 1709 di un ignoto pittore campano, raffigurante San Francesco Saverio che battezza un negretto. Nella prima cappella a sinistra una Madonna con Bambino e Santi, esito del pennello di un artista di ambito provinciale ispirato ai modi di Francesco Solimena. Sull’altare della terza cappella a sinistra una Madonna del Rosario contornata da quindici telette raffiguranti i Misteri. Il quadro, eseguito nel 1786 utilizzando una vecchia tela, ha dislivelli qualitativi tra il volto della Vergine, molto bello e dolce, sicuramente autografo e la parte inferiore, alla quale partecipa la bottega. Nei due transetti vi è una coppia di altari in marmi policromi molto belli, eseguiti dal marmoraro Antonio Di Lucca nella seconda metà del Settecento. Il paliotto dell’altare di destra fu modificato nel 1797 per inserirvi il contenitore delle reliquie di San Pio. Sull’altare del transetto sinistro fa bella mostra una Madonna delle Grazie con le anime purganti di Paolo De Matteis, firmata e datata 1710. La Vergine, seduta in alto tra le nubi col Bambino, fa grondare dal seno copiose gocce di latte ad un gruppo di anime purganti, che, caldamente, la implorano. La tela è impregnata di grazia raffinata e di misurata eleganza compositiva, attraverso l’uso di stesure cromatiche dalle tonalità preziosamente rischiarate, che precorre il gusto rocaille. Il De Matteis realizza nel dipinto ” una perfetta sintesi tra colore e disegno, contenuto e forma, in ossequio a quella vena di ritrovato classicismo” (Rolando Persico), che contraddistingue le sue opere più riuscite. L’altare maggiore in marmi policromi è opera di collaborazione tra un eccellente marmoraro napoletano ed un ignoto scultore, autore dei cherubini che impreziosiscono i due capialtari ed il ciborio. La balaustra riprende motivi di grande successo, introdotti in area napoletana da Niccolò Tagliacozzi Canale nella zona presbiteriale della Certosa di San Martino. Nella parete di fondo dell’abside è collocata una Pentecoste, realizzata nel 1768 dal Di Spigna, una composizione animata da un moto circolare di grande dinamismo, che ci fa apparire il pittore lacchese aggiornato sui modi della pittura napoletana degli anni Sessanta, di ispirazione accademica. Sulle pareti dell’abside è presente una serie di quattro rilievi in stucco modellato, rappresentanti, partendo da sinistra: San Giovanni Evangelista, Santo evangelista(?), Sant’Andrea e San Giacomo. Essi furono realizzati nel 1768 da Cesare Starace, quando l’artista eseguì anche la cornice di stucco per il quadro della Pentecoste. In una nicchia posta nell’altare del transetto destro vi è una scultura a manichino rappresentante San Pio, adagiato su una bara in legno intagliato e dipinto, decorata da profilature dorate. Sull’altare vi è un Crocifisso, fine Settecento, in legno scolpito e dipinto, caratterizzato da un accentuato pietismo, che riprende schemi iconografici importati dalla Spagna il secolo precedente. Sull’altare del transetto destro vi è un Calvario, eseguito da Giuseppe Bonito, probabilmente nel 1768, sagomato attorno al Crocefisso illustrato precedentemente. La tela è una replica autografa di quella eseguita nel 1757 per la chiesa napoletana di San Giovanni e Santa Teresa all’Arco Mirelli. L’opera presenta chiari segni di classicismo, che in ambito napoletano si manifestavano in quegli anni sotto l’influsso della pittura romana. Nella terza cappella del lato destro trova posto una Annunciazione, datata 1776, da attribuire al poco noto Vincenzo Diano, del quale non si conoscono legami di parentela con il più noto Giacinto, attivo nella vicina CatteIschia chiesa del Soccorsodrale. La paternità della tela si basa su convincenti raffronti con gli affreschi dipinti dall’artista nel monastero di Santa Caterina da Siena nel 1777. Nella nicchia sull’altare della seconda cappella a destra vi è una scultura rappresentante San Pietro, opera di un artista napoletano ispirato ai modi di Giuseppe Picano, da cui riprende pedissequamente lo schema della capigliatura e della barba condotta per volute. Nella sacrestia, in un elegante mobile per arredi, di artigianato campano della prima metà del secolo XIX, sono conservati vari oggetti sacri d’argento, tra cui segnaliamo uno splendido calice punzonato dall’argentiere Gennaro Russo, attivo con due statue nella cappella del Tesoro del Duomo di Napoli. In sacrestia vi è pure una Traditio clavium, un raro tema iconografico eseguito dalla bottega di Fabrizio Santafede. Il dipinto è stato studiato dall’Alparone, il quale, nell’assegnarlo al pennello del maestro, operava dei raffronti con il Cristo e la Samaritana della quadreria del Pio Monte della Misericordia e con il Cristo ed i figli di Zebedeo della pinacoteca dei Gerolamini. La tela in esame, pur essendo di notevole qualità, tradisce però una certa durezza di esecuzione, che contrasta con la consueta dolcezza dei dipinti del Santafede. La Scricchia Santoro, in una sua comunicazione orale, ha avvicinato l’opera al catalogo di Giovan Bernardo Azzolino, non avendo riscontrato quei caratteri di arrotondamento e di addolcimento tipici nelle fisionomie santafediane. Una particolare attenzione è stata dedicata dalla Rolando Persico, nella sua monografia sui dipinti delle chiese ischitane e dal Borrelli, nel redigere la scheda per la Soprintendenza, alla figura in basso a destra del committente, trovando una somiglianza con il donatore che compare nel dipinto di Carlo Sellitto conservato nella chiesa di Aliano in provincia di Matera. Raffronto che, a nostro parere, è del tutto arbitrario, essendo il ritratto del committente del Sellitto un vero capolavoro impregnato del più schietto naturalismo, che cominciamo a riscontrare in area napoletana dopo la venuta del Caravaggio, non prima del secondo decennio del Seicento, mentre la Traditio clavium ischitana va collocata cronologicamente almeno venti anni prima. Sistemato attualmente sulla parete destra della controfacciata della chiesa, vi è un olio su tavola con la Madonna, Bambino e Santi, che venne ritrovato nel 1969 dietro il quadro raffigurante la Pentecoste, sito sull’altare maggiore. Attribuito dall’Alparone in un primo momento a Marco Pino, fu, prudentemente, dallo stesso studioso, assegnato, dopo un più attento esame, ad un collaboratore della bottega. Si può ipotizzare il nome di Michele Manchelli, genero del maestro, che, come risulta dai documenti, riprende i moduli del suocero in molte opere, senza però raggiungerne i livelli qualitativi. Sempre sulla controfacciata destra si trova una Madonna della Salvazione, opera di un ignoto attivo nella prima metà del secolo XVII. La Vergine è seduta su delle nubi ed ha sulle gambe il Bambinello, il quale regge uno scettro con cui indica un gruppo di barche di pescatori dirette verso l’isola di Ponza. Un classico ex voto donato da scampati ad una tempesta. E per finire, nella prima cappella a destra, si trova una tela di un certo interesse, rappresentante la Sacra famiglia con Sant’Anna, San Gioacchino e San Giovannino, da confrontare con la tela omonima, conservata nella sacrestia della chiesa dei santi Filippo e Giacomo a Napoli ed assegnata a Fabrizio Santafede. La tela della chiesa ischitana ricalca pedissequamente, con qualità molto più bassa, il quadro napoletano di cui con precisione ripete “dettagli, atteggiamenti, espressività, intensità di sguardi, tutti elementi che concorrono a ricreare quella sorta di atmosfera familiare ed intima che si riscontra in numerose tele santafediane”. La chiesa dello Spirito Santo è stata elevata a Santuario Diocesano di San Giovan Giuseppe della Croce il 5 maggio del 2008 dal vescovo di Ischia Mons. Filippo Strofaldi. E’ ritornata ad essere sede parrocchiale il 5 marzo 2010 con il titolo di Santa Maria Assunta nel Santuario Diocesano di San Giovan Giuseppe della Croce, e con l’insediamento del nuovo parroco il canonico Carlo Candido, avvenuto l’11 aprile 2010, Domenica in Albis e Festa della Divina Misericordia. Il 27 luglio del 2010 il Santuario è stato impreziosito del dono dell’Indulgenza Plenaria con Decreto della Penitenzieria Apostolica.
CHIESA SANTA MARIA DEL SOCCORSO – Forio
E’ una delle chiese più famose di Ischia, molto bella, sia per la sua architettura, sia per la sua strabiliante posizione a picco sul mare. Appena si svolta la punta Caruso, ecco che appare lei, la bianca chiesa del Soccorso, chiamata così perché rappresentava un punto di salvezza per chi lavorava in mare. La chiesa visibile dal mare infatti, info ndeva coraggio ai naviganti che indirizzavano preghiere alla Madonna del Soccorso, sempre generosa con la povera gente di mare. A testimonianza di questa grande fede si posso notare i numerosi ex voto custoditi nella chiesa. La chiesa faceva parte di un antico convento agostiniano fondato nel XIV secolo, il convento degli Eremitani di S. Agostino.
Esso fu edificato lontano dall’abitato, in un momento in cui il villaggio di Forio, dal primitivo insediamento sul colle intorno alla chiesa di S. Vito, si stava sviluppando e allargando verso il mare.
La chiesa del Soccorso ha subito nel corso dei secoli notevoli trasformazioni. Il nucleo originario era molto semplice, comprendeva infatti solo la navata con l’abside. Nel 1791 fu realizzata la cappella del Crocifisso e nel 1854 fu costruita una cupola, crollata in seguito al terremoto del 1883 e ricostruita in proporzioni minori.
Una visita merita sicuramente il sagrato: una grandissima terrazza panoramica con sedili di pietra, al centro della quale sovrasta una croce di pietra dal basamento rivestito in piastrelle maiolicate. Queste mattonelle adornano anche parapetto della scala che conduce alla chiesa.
CHIESA DI SANTA RESTITUTA – Lacco Ameno
E’ situata nel comune di Lacco Ameno sul versante nord di Ischia, è un santuario dedicato alla martire africana patrona dell’isola ed è composto da due chiese.
La prima risale al 1886, l’altra a fianco sorta nel sec. XI sopra una basilica paleocristiana (della quale rimane conservata la cripta) fu restaurata nel sec. XIV e riedificata nel XVIII. In esso sono custodite due statue lignee della santa: un busto policromo del 1711 ed una scultura dorata del XVI secolo, quest’ultima si trova nella cappella laterale dove sono custodite le reliquie della santa.
Lungo le pareti, é esposta una serie di quadri di Francesco Mastroianni che illustrano gli episodi salienti del martirio di Santa Restituta.
Annesso al santuario si trova il museo archeologico, sorto negli anni cinquanta per iniziativa del rettore don Pietro Monti, sacerdote ed archeologo, che custodisce reperti dell’età ellenistica, romana e paleocristiana a testimonianza che Ischia fu la prima colonia greca d’occidente.
Interessante è la rappresentazione del martirio e dell’approdo di Santa Restituta nella baia di San Montano a Lacco Ameno, festeggiata ogni anno il 16 maggio.
EREMO DI SAN NICOLA – Monte Epomeo
E’ la più alta dell’isola infatti è situata sulla vetta del monte Epomeo ed è sicuramente uno dei più significativi esempi di architettura rupestre ad Ischia. L’antico convento, annesso alla chiesetta, è stato trasformato oggi in un ristorante dove è possibile gustare specialità enogastronomiche isolane. L’eremo, completamente di pietra scavata nel tufo, esisteva già nel 1459. Sulla parete in fondo, si trova la cappella delle reliquie, contenenti vasetti in vetro soffiato con antichi resti umani di santi e beati.
Si può poi ammirare una statua di San Giuseppe in terracotta ed un Cristo Morente sulla parete a destra dell’altare. L’arco sull’altare maggiore, presenta una statua di San Nicola da Bari, datata 1500, opera di un ignoto scultore campano.
CHIESA DI SAN VITO – Forio
S. Vito, la cattedrale intitolata al santo patrono di Forio, è la chiesa più antica del comune. L’esistenza della chiesa è documentata già nel 1306 da una bolla che conferma all’Università di Napoli il diritto di avere un parroco residente nella parrocchia di S. Vito, ma le ipotesi sulla data di fondazione dell’edificio restano discordanti. Secondo lo studioso don Pietro Monti la chiesa fu costruita presumibilmente in sostituzione di una più antica chiesetta dedicata a S. Vito edificata dagli abitanti nei pressi della marina di Citara, intorno alla quale era organizzato il casale di Forio in epoca angioina. La zona, troppo esposta alle incursioni saracene, venne in seguito abbandonata e il nucleo abitativo si trasferì in un sito più elevato e sicuro, dove venne eretta la nuova chiesa. La parrocchia di S. Vito nei secoli XIV e XV costituì il punto di riferimento del primo nucleo abitato e ricoprì un ruolo molto importante per la comunità locale: la maggior parte della popolazione foriana all’epoca viveva proprio sul colle e nelle campagne nei pressi della chiesa; solo verso la metà del XV sec. il villaggio di Forio cominciò ad espandersi verso il mare, intorno ad un’altra chiesa, S. Maria di Loreto. Nel cortile della chiesa, presumibilmente nel XVI secolo, furono erette due cappelle private, una dedicata a San Martino situata sul lato destro, l’altra intitolata a S. Giacomo Apostolo, sul lato sinistro; entrambe furono demolite, la prima intorno al 1773, l’altra nel 1857, per permettere la costruzione dei due campanili. Interventi avvenuti nel corso del XVIII sec. hanno modificato l’architettura gotica originaria: nel 1735 l’Università di Napoli finanziò un ampliamento del complesso, nel 1748 fu costruito l’altare maggiore e nel 1790 furono rinnovate le decorazioni in stucco, il pavimento e gli altari di marmo delle cappelle laterali. Settecenteschi secondo Salvati (1951) sono i due campanili, sormontati da pere tipiche dell’architettura barocca dell’Italia meridionale; D’Ascia informa che una torre è per le campane, l’altra per l’orologio pubblico “recentemente costruito” e che il campanile ospita “la più gran campana del Comune regalata da Ferdinando II nel 1854”. Al XIX sec. risalgono invece la parte centrale della facciata principale e altre aggiunte all’interno. Il rimaneggiamento della facciata, secondo Salvati, è una fredda trasposizione di moduli di Vignola, in sostituzione dell’aspetto originario, molto più rustico e paesano. La facciata laterale ha invece conservato l’aspetto primitivo e ciò la rende particolarmente interessante. Una lapide sepolcrale posta dietro l’altare maggiore ricorda il parroco Nicolantonio Maltese che, durante la peste del 1656, anziché fuggire in campagna, rimase ad assistere i malati; terminata la pestilenza, in segno di gratitudine, gli amministratori di Forio lo fecero parroco di S. Vito. Nel 1989 la chiesa di S. Vito è stata elevata a Basilica Pontificia.
Note: I locali della basilica ospitano una importante biblioteca dove sono conservati cinquemila di volumi, alcuni incunaboli, cinquecentine ed edizioni rare. Molti libri provengono dall’antica biblioteca del convento di S. Francesco soppresso nel 1866.